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Neda Saeedi

NEDA SAEEDI, “WHISPERS”. PODERE TRAFONTI / MOUSSE PUBLISHING (2024)

Sommario

Passeggiare in un giardino raccontandosi storie. Neda Saeedi: sui testimoni silenziosi e il ruolo della materia – pag. 15-20                           

di Yasmin Afschar

Vedere attraverso e guardare dietro. Sulla politica dei portali nell’opera di Neda Saeedi – pag. 23-27

di Carina Bukuts

Opere – pag. 65-80

Colofone – pag. 122-124  

Pag. 14

Passeggiare in un giardino raccontandosi storie. Neda Saeedi: sui testimoni silenziosi e il ruolo della materia

Di Yasmin Afschar

Sfumature di verde

Il 1816 passò alla storia come “l’anno senza estate”. Nell’aprile del 1815, il vulcano del Monte Tambora, nell’attuale Indonesia, lanciò nell’atmosfera quantità inimmaginabili di ceneri e polveri che avvolsero la terra come un velo e provocarono un forte abbassamento delle temperature globali. Pare che in giugno avesse nevicato nell’Italia meridionale, un disastro che aveva rovinato i raccolti e portato alla carestia. Proprio in quell’anno senza estate, Faustina Pecci Landucci, aristocratica di Montefollonico in Toscana, commissionò la creazione di un giardino per la sua casa, per aiutare i contadini e i braccianti che lavoravano per lei a superare quell’anno senza raccolti. Come voleva la tradizione italiana, il giardino era diviso in una parte formale, una zona “selvatica” e un orto e giardino pensile con vista sulle dolci colline toscane. Neda Saeedi mi racconta la storia del giardino di Villa Marselli in una delle prime sere in cui vado a trovarla durante la sua residenza a Podere Trafonti. Il giardino dista trenta minuti a piedi dal patio sopra la casa principale dove siamo sedute, davanti a un panorama sublime.

Neda è affascinata dai giardini come punto di cristallizzazione del legame tra cultura, natura e potere. Prendiamo l’esempio di Montefollonico: il giardino all’italiana, rigorosamente organizzato e curato da mani umane, “ha bisogno” della sua controparte selvaggia per dimostrare la superiorità della cultura sulla natura. Allo stesso modo, l’aristocratica sfida il potere incontrollabile della natura – che si manifesta nell’eruzione vulcanica e nei cieli oscurati – costruendo un giardino, un pezzo di natura che si può controllare. Così facendo, non solo assicura la pace nella comunità, ma anche i raccolti e la fedeltà dei contadini negli anni successivi, alimentando così il sistema capitalistico del profitto in perenne aumento.

I giardini, secondo Neda, si basano su attività di raccolta, definizione, valutazione e classificazione, attività che corrispondono ai principi fondanti del colonialismo.1 Come abbiamo discusso in seguito, la storia dei giardini è stata quasi sempre associata al capitalismo, alle classi sociali e alla segregazione, e alle loro ramificazioni nella sfera della religione. L’antico termine persiano per giardino è pari-daizi, cioè “recintato” o “circondato da mura”. Il termine è entrato nelle lingue europee tramite il greco antico e il latino come “paradiso”, a testimonianza di come i giardini siano sempre stati potenti metafore, simbolo del divino e anche del potere imperialistico.

Neda ha condiviso con me un’altra storia, una delle tante che conosce, e questa è il punto di partenza dell’opera intitolata Two Shades of Green (2021): Il Conocarpus erectus è una pianta sempreverde che cresce in tutta l’Africa occidentale dal Senegal all’Angola, nei Caraibi, sulle coste dell’America centrale e meridionale e in Florida. Si dice che sia stato portato dalla Florida a Dubai negli anni Settanta, per creare zone di verde nelle aree residenziali intorno a un impianto metallurgico. In breve tempo, questa pianta invasiva, che necessita molta acqua ed è persino dannosa, si è diffusa in tutti gli Emirati Arabi. Intorno al 2000, il Conocarpus ha raggiunto l’Iran meridionale, pare intorno a una fabbrica nella zona industriale di Bandar Abbas, che si riforniva di prodotti a Dubai. Oggi, questo albero arbustivo domina il paesaggio urbano di diversi siti industriali della zona. Molto più verde della rada vegetazione autoctona, e non dipendente dalle stagioni, risponde al desiderio di replicare le città occidentali e le loro zone verdi. Questa ricerca di una “migliore sfumatura di verde”, un verde associato all’Occidente, si è letteralmente trasformato in un problema di salute. L’anno scorso, nello stato indiano del Gujarat, il Conocarpus è stato vietato perché si è scoperto che provoca reazioni allergiche e malattie respiratorie, oltre a rappresentare un pericolo per le piante autoctone. Si parlava di deserto verde. 

La mangrovia invasiva in Two Shades of Green, un’opera che Saeedi ha esposto a Teheran alla Pejman Foundation e a Baden-Baden alla Staatliche Kunsthalle, è rappresentativa delle modalità di spostamento forzato associate alla realizzazione di un giardino. Neda smonta le premesse del giardino come rifugio romantico e luogo di estasi ricreativa, dimostrando invece la sua logica intrinseca di supremazia ed esclusione, in questo caso delle piante autoctone “selvatiche” e “inferiori”. L’artista sottopone le piante autoctone a un processo noto come “decellularizzazione”, una procedura biomedica in cui le cellule degli esseri viventi vengono svuotate in modo che rimanga solo l’involucro. Poi le colora di un verde brillante “artificiale”.

Mostrate in sfere di vetro simili ai soprammobili con dentro la neve, evocano le esposizioni museali comparative in cui i “reperti” d’epoca coloniale vengono spesso presentati nel Nord globale. Pensando alla migrazione e al dominio della natura, gli oggetti isolati in modo asettico sembrano pronti a essere incanalati nella storia globale del giardinaggio, proprio come l’asservimento della natura mira a controllare e, in ultima analisi, a escludere l’“altro”. 

Mi sembra ragionevole affermare che Saeedi sia impegnata in una sorta di archeologia del futuro.

Whispers (Across Horizons)

La fusione, la stratificazione e l’intreccio di tempo e luogo è una caratteristica fondamentale della miniatura persiana. In un singolo quadro, le scene di vari momenti nel tempo sono combinate e disposte in base alla loro rilevanza per il soggetto più che all’ordine cronologico. Ad esempio, un cielo stellato non implica automaticamente che la storia sia ambientata di notte. Allo stesso modo, la disposizione di edifici, persone, flora e fauna è del tutto simbolica. Sia gli oggetti che gli esseri viventi hanno lo stesso peso, condividono la stessa leggibilità. Tra l’altro, il termine “miniatura” è una creazione coloniale, un termine collettivo per i dipinti figurativi creati nell’attuale Iran, Turchia e Asia centrale e meridionale. Con l’influenza delle potenze imperialiste e i continui cambiamenti di governo, numerosi manoscritti miniati finirono in collezioni private e musei in tutta Europa. Molti furono scorporati per facilitarne la vendita e l’esposizione, e divennero quindi inaccessibili ai soggetti di cui dipingevano le gesta.   Immaginate un po’: nel 1994, all’aeroporto di Vienna, un rappresentante del Museo d’Arte Contemporanea di Teheran scambia in gran segreto, un quadro di de Kooning (raffigurante una donna nuda) con parte di un manoscritto dello Shahnameh del XVI secolo. Questo è avvenuto dopo decenni di mecenatismo estrattivista, che in molte regioni ha portato anche al declino dell’arte stessa della miniatura. Neda e io discutiamo della struttura non lineare e al contempo meticolosa dei dipinti. Il loro obiettivo è quello di travolgere i sensi, allontanandosi dalla prospettiva umana e dalla ricerca del naturalismo che caratterizzava la storia dell’arte occidentale. Anzi, intendevano offrire niente meno che un’idea dello sguardo di Dio e in Dio.

I giardini ricoprono un ruolo significativo nella tradizione dei manoscritti miniati. Raffigurano il paradiso, dove la natura funge da legame spirituale con la creazione divina, sottolineando una visione spirituale e umile del mondo naturale, in netto contrasto con l’idea occidentale del dominio dell’uomo sulla natura.

Nella sua esplorazione del concetto di paradiso come giardino “chiuso”, “murato”, Neda ha rivolto la sua attenzione ai confini fisici così come sono rappresentati nelle miniature. Ha quindi analizzato meticolosamente le illustrazioni, isolando gli elementi architettonici, in particolare i muri e le frazioni che circondano o rivelano la vista su un giardino. Riducendoli ai loro contorni geometrici, Neda li ha riuniti in un nuovo disegno, che ricorda una fortezza senza tempo e senza luogo. Da questo compendio di modelli che racchiude  una sessantina di tipologie architettoniche, Neda ha poi prodotto degli oggetti metallici da parete ingrandendo i frammenti della pianta e creando di fatto delle specie di ringhiere. Con questo processo ha così posto l’enfasi sul ruolo di “recinzione” tipico del giardino.

Whispers Across Horizons è un’installazione in situ creata da Neda sulla parete posteriore della casa principale del podere Trafonti all’inizio del 2024. L’installazione nasce da un dettaglio di una miniatura e riporta in vita il giardino “escluso” incorporando l’ambiente naturale di Trafonti – gli ulivi, i cipressi, i campi, l’orto, gli arbusti. Il disegno geometrico originale si trasforma in un elemento strutturale che acquista significato grazie all’ingrandimento. Neda arricchisce gli incavi della parete senza finestre con elementi a specchio, creando una visione fittizia che riflette l’ambiente circostante e l’osservatore grazie alla sua geometria caleidoscopica.

Ispirandosi agli elementi ornamentali islamici e alla geometria sacra, le composizioni di Neda presentano forme pure di sole, stelle e piante che ricordano sia i mandala che le illustrazioni scientifiche.  I colori diversi delle superfici a specchio evocano i diversi momenti della giornata – la notte, l’alba e il tramonto – fornendo una rappresentazione ritmica del giorno e l’intreccio di passato, presente e futuro, oltre a collegare gli spazi fisici davanti e dietro lo spettatore. Gli specchi a mosaico delle piastrelle persiane simboleggiano l’idea di unità nella molteplicità, rievocando il concetto filosofico persiano di “interezza dello spazio”. Gli spazi invasi dagli specchi superano i confini ottici e fisici a dimostrazione che tutto è interconnesso. Nel caso di Neda, fungono da esplorazione artistica dei legami tra la natura e gli esseri umani, come si evince dal sottotitolo dell’opera, “A Symphony of Persian Reverie in Nature’s Embrace”. Nei frammenti di specchio possiamo rifletterci solo parzialmente e quindi sempre come parte della natura che ci circonda. La vita umana e più che umana formano un ornamento scintillante che cambia di continuo, a seconda della stagione, del tempo o della posizione dell’osservatore. Nella filosofia sufi, gli specchi sono anche una metafora della contemplazione interiore e della consapevolezza di sé, e ci ricordano la capacità della natura di mostrarci il nostro sguardo riflesso.

Una volta qualcuno mi ha detto che l’esilio è la capacità di guardare le cose a strati. Non è forse quello che fanno anche i manoscritti miniati persiani? Proprio come le interpretazioni contemporanee di Neda.

Ghostly Matters

Soffermiamoci per un istante sugli specchi e sull’idea che possano avere un ruolo in quanto materiale, come parte di un’opera d’arte oltre che nel modo in cui riflettono il mondo. Un’affermazione centrale della teorica Jane Bennett è che la materia è attiva, vitale: “Per ‘vitalità’ intendo la capacità delle cose – cibo, merci, tempeste, metalli – non solo di ostacolare o bloccare la volontà e i progetti degli esseri umani, ma anche di agire come agenti o forze che hanno traiettorie, propensioni o tendenze proprie”.2

Bennett parla del potere delle cose, dell’emancipazione del non-umano, assumendo il punto di vista dell’ecologia politica. Ascoltare le cose – intendere la materia come agente della vita sociale e politica – vederle come testimoni materiali con il potere di esprimersi e dimostrare, può anche essere una strategia contro le politiche atte a silenziare, come le ha descritte Gayatri Chakravorty Spivak in “Il subalterno può parlare?” parlando di capitalismo razziale basato sull’esclusione.

Ogni oggetto e ogni materiale che Saeedi utilizza nel suo lavoro racconta una storia. Avendo studiato scultura classica a Teheran, l’artista conosce bene il suo materiale e lo osserva sempre da vicino. Deve possedere qualità che vanno al di là dell’aspetto formale e la sua funzionalità deve essere veramente d’impatto e non solo illustrativa. Piastrelle a specchio fatte a mano, oggetti artificiali in 3D accanto a piante decellularizzate e inserite in sfere di vetro, un oggetto di zucchero che ricorda l’insediamento forzato delle tribù nomadi, cristalli prodotti artificialmente che bisogna prima distruggere per determinarne l’autenticità… I materiali utilizzati da Neda hanno una loro biografia, una realtà e una memoria proprie. Lo zucchero, ad esempio, ha avuto un ruolo importante agli albori della globalizzazione, mentre in un erbario, l’atto di comprimere e appiattire gli esemplari rappresenta la violenza insita nel collezionismo e nei souvenir. Mi viene in mente il modo in cui la sociologa Avery Gordon parla di seguire “i fantasmi”: le narrazioni escluse e i capitoli non mappati della storia del mondo, che si manifestano non da ultimo negli oggetti e nella materia, per stabilire, come scrive, “un contatto che ti cambia e rimodella le tue relazioni sociali”3 perché il fantasma racchiude un potere trasformativo. Qualcosa o qualcuno che è stato ridotto al silenzio ritorna alla realtà per “regolare i conti.”

La vicinanza concettuale e fisica che Neda mantiene nei confronti dei materiali e del suo ruolo è stata decisiva anche nell’ideazione di questo libro. Le immagini sono prevalentemente primi piani e dettagli. Abbiamo abbandonato la riflessione sulla percezione spaziale, altrimenti cruciale per uno scultore esperto, a favore di “tocchi visivi”. Vediamo strutture, luce, colori, superfici e membrane, che sembrano reciprocamente influenzarsi. La materia è sovrapposta, proprio come nella pittura persiana il tempo e il luogo sono stratificati. Neda mi dice che solo l’elaborazione del materiale porta da un’idea all’altra, non la lettura e la ricerca, che pure sono centrali nella sua pratica. Le pagine semitrasparenti del libro riportano alla conversazione che i materiali e le immagini del lavoro di Neda intrattengono tra di loro e con noi. L’essere dentro e fuori, la questione della prospettiva (la ricerca di una visione d’insieme non serve forse solo alle promesse del pensiero egemonico suprematista?) culmina in un esame della politica della visione e dello sguardo.

In persiano, Neda significa ‘voce’ o ‘messaggio divino’. Saeedi è senza dubbio una narratrice. Le sue installazioni non solo funzionano sovrapponendo storie, luoghi e tempi, ma sono anche un po’ come le vetrate delle chiese, che erano considerate la “Bibbia dei poveri”. Le opere di Neda incorporano una coreografia di movimenti. Le loro narrazioni sono silenziose, ma anche polifoniche e stratificate, e gli oggetti, i materiali, fungono da protagonisti, ciascuno con il proprio linguaggio. Sperimentare il lavoro di Neda Saeedi è un po’ come passeggiare in un giardino raccontandosi storie. Questa idea di “ritorno all’isola che non c’è” – che dà il nome anche a un libro d’artista che contiene una conversazione tra Neda e Homayoun Sirizi – può fornire la prospettiva da cui osservare le sue installazioni e sfogliare questo libro.

Pag. 22

Vedere attraverso e guardare dietro. Sulla politica dei portali nell’opera di Neda Saeedi

Di Carina Bukuts

Una finestra per vedere

una finestra per sentire

una finestra che come bocca di un pozzo

giunga in fondo al cuore della terra

e s’apra lungo la vastità di questa continua grazia azzurra,

una finestra che nel favore notturno del profumo di nobili stelle

trabocchi di piccole mani della solitudine, e da lì potremo invitare il sole

al rimpianto dei gerani.

Mi basta una finestra.

Forough Farrokhzad (4)

Sono pochissime le situazioni in cui non veniamo guidati, nella vita pubblica. Nello spazio sociale, buona parte dei nostri comportamenti segue protocolli che adottiamo per efficienza. Le opere d’arte ci permettono di dimenticare per un attimo queste dinamiche. Nessuno ci dice per quanto tempo dobbiamo stare davanti a un quadro, o da quale prospettiva si deve guardare una scultura, e non c’è un limite per il coinvolgimento. Le opere d’arte non impongono nulla, sono semplici inviti.

Nella sua pratica, Neda Saeedi ha adottato approcci diversi per formulare questi inviti, ma ciò che li accomuna è l’interesse per i mutamenti. Dopo lunghi periodi di ricerca, l’artista guarda a momenti nel tempo – tratti da storie che non vengono più raccontate o da eventi del nostro presente – in cui si è verificata o sta per verificarsi una trasformazione. Per l’edizione del 2018 della Luleå Biennial, Saaedi si è concentrata sulla storia della sua patria, l’Iran. Due anni prima di partecipare alla mostra, era andata a Shushtar-e Nou, una città che si era formata negli anni settanta vicino all’antica città di Shushtar, celebre per il suo sistema idraulico, che risale a Dario il Grande, cioè al quinto secolo AC. Chiunque si avventuri a visitare Shushtar sarà premiato con lo spettacolo di dirupi e cascate, canali e qanat,5 che raccolgono le acque del fiume Karun per irrigare i campi e produrre energia. Shushtar-e Nou invece, segue uno schema a griglia che promette di garantire una navigazione efficiente. Le aree residenziali sono organizzate in isolati rettangolari compatti e ordinati, disposti simmetricamente attorno a un asse centrale. Tutte queste caratteristiche indicano un approccio all’urbanistica che privilegia la coesione – e quindi la politica dell’assimilazione e dell’uniformità – rispetto alla molteplicità. In un’intervista con la curatrice Asrin Haidari, Saeedi ha spiegato il suo interesse per la città perché, nonostante i riconoscimenti internazionali per il progetto architettonico,6 l’ha sempre considerata “altamente sorvegliata e soffocante”.7 Più che un’impressione soggettiva, sembra che l’artista abbia intuito la minaccia insita in questo tipo di progetto e i potenziali problemi che man mano sono stati insabbiati negli ultimi cinquant’anni dalla sua inaugurazione. Scavando più a fondo – il modus operandi che caratterizza la sua ricerca – Saeedi ha scoperto che la storia di Shushtar-e Nou è essenzialmente una storia di spostamenti forzati. Mirando a modernizzare il paese ed esercitare un maggiore controllo sulla popolazione, alla fine degli anni Sessanta il governo iraniano sotto il governo di Reza Shah Pahlavi e del figlio Mohammad Reza Shah ha perseguito una politica aggressiva di sedentarizzazione, nota come Rivoluzione Bianca.  La creazione di Shushtar-e Nou, che ha visto il contenimento della tribù dei Baktiari, faceva parte di questa più ampia strategia per insediare i nomadi in abitazioni permanenti, interrompendo così i loro tradizionali modelli di vita migratori. Nel tentativo di prendere due piccioni con una fava, la città storica di Shushtar fu scelta per ospitare una coltivazione di canna da zucchero importata e una raffineria dove produrre zucchero per gli Stati Uniti, che avevano perso Cuba come principale fornitore con l’embargo imposto nel 1958. Di conseguenza, la tribù dei Baktiari e molti altri nomadi dalla regione avrebbero dovuto lavorare nelle raffinerie e vivere a Shushtar-e Nou.

In Garden of Eden Moving; A Petrified Tribe (2018), mostrato per la prima volta al Luleå Konsthall, Saeedi dà una forma visiva a questa storia di violenza con un’operazione di consolidamento. Il primo gesto che presenta al visitatore è una parete enorme su cui sono proiettate le immagini in movimento di un gregge, filmati d’archivio della tribù dei Baktiari con le loro pecore. Un piccolo foro quadrato lascia intravedere l’altro lato e, aggirandosi all’interno dell’installazione si capisce che la parete vuole ricordare una diga, con le aperture che evocano quelle attraverso cui l’acqua fluisce nei serbatoi. Invece dell’acqua, però, sul pavimento della galleria si riversano tanti lecca-lecca trasparenti, come congelati nel tempo. Di fronte a questa diga di dolcezza si vede una pecora di zucchero. Se da un lato l’animale funge da simbolo della dipendenza della tribù dei Baktiari dal bestiame, che forniva sostentamento con carne e latte, e anche lana e pelle per vestirsi, dall’altro la scultura, che è cava e fatta di un materiale delicato, rappresenta la fragilità di questi modelli di vita ancestrali.

Altrove nello spazio espositivo, una serie di sculture di carcasse rovesciate ci ricorda che dove c’è qualcosa di dolce l’amarezza non è mai lontana, come testimonia la storia coloniale dello zucchero. Inoltre, come ha scoperto Saeedi nelle sue ricerche, nel corso degli ultimi decenni lo zuccherificio di Shushtar ha contaminato l’ambiente con sostanze tossiche, trasformando la fertile zona umida in un terreno incolto. A questo proposito, è quasi paradossale che nel mondo finanziario si parli di “liquidità” per la facilità con cui un bene o un titolo può essere convertito in denaro, quando è proprio la corsa capitalistica al denaro che prosciuga tutto l’ecosistema. Mentre la rivoluzione iraniana (1978-79) dimostra quanto il popolo rigettasse il regime autocratico dello Scià, le storie e le politiche che Saeedi porta alla luce sono ben lungi dall’essere note a un pubblico ampio, il che ha reso ancora più importante la presentazione di queste opere al Dastan Basement (2019) di Teheran, la sua città natale.

Se da un lato l’artista ci esorta a esaminare questi punti ciechi della storia, mi piace pensare che le sue sculture ci incoraggiano anche a reimmaginare altri atti di trasformazione. In Garden of Eden Moving; A Petrified Tribe, il diavolo sta nei dettagli: è il forellino nella diga che si fa portale di tante possibilità. Se Saeedi usa la diga per creare un’analogia tra il contenimento dell’acqua e delle persone, il foro allude alla forza e alla resilienza dell’acqua, che trova il modo di superare qualsiasi ostacolo, anche il più imponente.

L’idea delle aperture all’interno delle strutture è ben presente anche in altre opere dell’artista, che da molti anni studia la storia e l’architettura delle finestre, in particolare quelle dei luoghi spirituali. In una conversazione con Saeedi, abbiamo parlato di come spesso le religioni organizzate primeggiano nei progetti, in quanto i loro edifici hanno sempre sfoggiato i migliori materiali disponibili nelle rispettive epoche, nonostante i costi ineluttabili.8 Negli ultimi quattro anni, la ricerca di Saeedi l’ha portata a passare un periodo importante in Italia, per il soggiorno a Villa Romana a Firenze nel 2022 e la residenza al Podere Trafonti nel senese nel 2023. Considerando che ci sono più o meno 65.000 chiese in tutto il paese, è naturale che lascino un segno. Nella storia dell’arte passata e recente, molti artisti sono stati invitati a progettare una vetrata di una chiesa: basti pensare agli 11300 quadrati colorati di Gerhard Richter nella cattedrale di Colonia, alle vetrate dipinte di blu da Marc Chagall per la chiesa di Fraumünster a Zurigo o alla Cappella del Rosario a Vence, dove la composizione di giallo, verde e blu creata da Henri Matisse riempie di luce tutto lo spazio. Scorrendo i nomi degli artisti le cui opere sono state considerate sufficientemente valide per entrare in comunione con l’“onnipotente”, è incredibile – ma non sorprende, visti i precedenti di oppressione patriarcale dell’istituzione – che non ci sia nemmeno una donna.

Si può dire che, considerandola da vari punti di vista, l’opera di Saeedi Only Birds Who Fly the Highest Can Shatter the Windows (2022) sia un omaggio a tutti colore che sono stati e continuano ad essere esclusi dai sistemi di controllo dominanti.  La pala d’altare, una serie di cinque vetrate rette da aste metalliche, raffigura le stelle dorate della bandiera dell’Unione europea che si librano come una corona di spine sopra l’edificio circolare del Parlamento europeo a Strasburgo, a evocare la Torre di Babele di Pieter Bruegel il Vecchio (1563). In basso la scritta “Europa, molte lingue, una sola voce”. Gli altri pannelli mostrano da un lato vari uccelli migratori multicolori e dall’altro degli strani avvoltoi. In quanto elementi architettonici che permettono l’ingresso della luce, le finestre suggeriscono l’idea di apertura. Nella sua installazione, Saeedi offre però anche un’altra lettura, perché pone l’enfasi sul modo in cui le finestre possono anche schermare dalle influenze esterne, creando una barriera tra il noto e l’estraneo. Unendo il gesto d’invito a una valenza difensiva, l’autrice trova una metafora adeguata alla politica europea della migrazione che, pur promuovendo l’idea della molteplicità, in realtà spesso lascia dall’altra parte della finestra molti di coloro che cercano di essere inclusi nella sua Torre di Babele.9

Non solo le creature alate tornano a essere protagoniste di In the Depth of the Night, Sky Sees the Sun (2023), commissionata per la quarta Autostrada Biennale, ma l’opera è anche la continuazione della ricerca di Saeedi sul potenziale del vetro come materiale. L’imponente scultura ha un diametro di 4.20 metri e si ispira allo studio dell’artista sulle lenti di Fresnel, originariamente ideate per i fari da navigazione. Composta da anelli concentrici che aumentano in altezza e in scala, la lente crea un fascio di luce dai contorni morbidi e, soprattutto, permette alla luce di viaggiare su grandi distanze. La decisione di rappresentare sei merli davanti a un paesaggio colorato potrebbe essere presa per un semplice gioco estetico di luci e colori nello spazio pubblico della League Square di Prizren in Kosovo.  Invece, osservando più da vicino, si capisce subito che per Saeedi le immagini e i materiali non sono mai neutri, ma significanti delle circostanze politiche. La scultura si ispira all’etimologia della parola “Kosovo”, che significa “campo di merli” ed è un commento sulla migrazione. A differenza della tribù dei Baktiari, la cui vita è stata definita da continui spostamenti, i merli hanno un senso del luogo di appartenenza davvero unico e migrano solo nei momenti di difficoltà. Mentre in Only Birds Who Fly the Highest Can Shatter the Windows Saeedi utilizza il vetro per introdurre il concetto di soffitto di cristallo per chi è considerato estraneo, l’uso delle lenti di Fresnel in In the Depth of the Night, Sky Sees the Sun ci fa pensare a come superare le grandi distanze e i rispettivi ostacoli. Come per altre opere dell’artista, è il contesto site-specific ad aggiungere un ulteriore livello di lettura. Durante la Biennale, la scultura ha occupato lo spazio vuoto di una cornice rettangolare che un tempo ospitava il monumento antifascista Heronjte e popullit – Agimi i Liris (gli eroi del popolo, l’alba della libertà) in memoria dei partigiani che avevano combattuto durante la Seconda guerra mondiale. La rimozione delle statue di bronzo dimostra che, in mancanza di un disegno politico, un materiale che dovrebbe trasmettere solidità e permanenza dura ben poco. A sua volta, l’opera in vetro traslucido di Saeedi enfatizza le vuote promesse e funge da portale, incoraggiandoci a guardare al passato, ma anche a superarlo.

Citazioni di Neda Saeedi

Pag. 29-30

“Ogni scultore pensa alla luce: la fonte, la direzione della luce e così via.

Stavo studiando il ruolo della luce nella scultura e come sia in realtà un elemento cruciale, anche se non è al centro dell’attenzione quando si parla di scultura classica.”

Pag. 47-48

“In realtà il soggetto interno ha sempre il potere, il controllo su questa apertura. Si può mettere una tenda, aprirla, far entrare o uscire aria o luce. Anche se è chiusa, la trasparenza evoca l’immagine o l’idea di apertura, ma in realtà non è aperta. La trasparenza e l’effetto vedo-non vedo ingannano, fanno pensare a qualcosa di avvicinabile. Quindi c’è questo elemento aperto, trasparente, che in realtà è un vero e proprio confine, un muro.

Sono ossessionata dalle finestre come elemento architettonico. Diciamo che implicano il concetto di apertura, no?”

Pag. 97-98

“A volte parlo di un luogo specifico, a volte parlo di giardini in quanto tali.

Ho lavorato molto con la metafora e l’idea di giardino come qualcosa che ha un sistema binario. Tra natura e cultura. Secondo me abbiamo sempre questo sistema binario, zero-uno, che può essere ricondotto alla religione. C’è sempre un atto di separazione e valutazione.”

Pag. 115-116

“Mi allontano, mi avvicino alle strutture, per esempio prendendo un elemento, diciamo una finestra, che incarna o rappresenta il quadro più grande, come un frattale.

Volevo raccontare la storia di un gruppo di persone che di solito non hanno un ruolo da protagonista o non vengono nemmeno citate. Quelle che sono sempre un po’ ai margini. Anche se compaiono qua e là nei notiziari, non bucano lo schermo e rimangono intrappolate in quella superficie. Sono come bloccate sul confine. È un po’ come con le finestre, perché si vede un frammento di una cosa più grande, ancora una volta predefinita dall’architetto. Quello che sta sul vetro non è mai né dentro né fuori.”

Colofone – pag. 122-124

Neda Saeedi; Whispers

Parte della serie Quaderni di Podere Trafonti a seguito della residenza artistica dell’artista a Podere Trafonti (www.poderetrafonti.com) durante l’estate del 2023.

Il libro è stato pubblicato in occasione della mostra NEDA SAEEDI “in fire yet we trust” (14 settembre – 17 novembre 2024) presso TAXISPALAIS Kunsthalle Tirol.

Diretta da Antonella Notari Vischer e Bernard Vischer, la Residenza Artistica Trafonti accoglie un artista all’anno per due mesi e offre ad artisti emergenti e di metà carriera il tempo e lo spazio per riflettere sul loro lavoro e approfondire la loro pratica. La residenza è destinata ad artisti visivi che lavorano con una varietà di mezzi, tra cui scultura, tecnologie digitali, suono, musica, film, fotografia, pittura, performance, scrittura.

L’artista viene selezionato in conversazione con una giuria di tre esperti consulenti artistici, composta per la selezione del 2023 da Lucia Pietroiousti (curatrice indipendente, fondatrice del progetto General Ecology presso Serpentine, Londra), Yann Chateigné Tytelman (curatore indipendente, editore e scrittore, Bruxelles) e Yasmin Afschar (curatrice, Direttrice ad interim Kunsthalle Mainz, Zurigo e Magonza).

Pubblicazione

Editore: Mousse Publishing, Milano

Direttore Editoriale: Bernard Vischer

Redattore Editoriale: Iliaria Bombelli

Concetto Editoriale: Yasmin Afschar e Neda Saeedi

Testi: Yasmin Afschar e Carina Bukuts

Le citazioni intervallate sono tratte da una conversazione tra Ana Teixeira Pinto e Neda Saeedi, pubblicata in: Neda Saeedi, “Only Birds Who Fly the Highest Can Shatter the Windows” (Firenze: Villa Romana, 2022).

Traduzioni: Gioia Guerzoni

Revisione: Bennett Bazalgette-Staples, George MacBeth

Progetto Grafico: Maximage (Ginevra, Svizzera)

Immagini

Tutte le opere d’arte e le immagini di processo sono © Neda Saeedi

Crediti Immagini

“Sinking Suns”, 2024. Installazione multimediale, assemblaggio di vetro, proiettori a trasparenza modificati, fotografia digitale. Foto © Studio Neda Saeedi

“Whispers Across Horizon”s, 2024. Sculture murali a specchio, struttura in acciaio inossidabile, Podere Trafonti. Foto © Andrea Della Giovampaola

“In the Depth of the Night, Sky Sees the Sun”, 2023. Vetrate, struttura in acciaio inossidabile, League Square, Prizren. Foto © Tuğhan Anıt, Autostrada Biennale

“Sunsets Are Not Overrated”, 2022. Proiezione-performance, proiezione video a due canali, due proiettori a trasparenza, vari oggetti trovati e vetro, suono, ca. 25 min, Documenta 15, Kassel. Foto © Documenta 15

“Only Birds Who Fly the Highest Can Shatter the Windows”, 2022. Vetrate, struttura in acciaio inossidabile. Foto © studio Neda Saeedi

“Eziekel Dreams Beyond Repair”, 2021. Installazione multimediale, Taxispalais Kunsthalle Tirol, Innsbruck. Foto © Günter Kresser

“Two Shades of Green”, 2021. Installazione multimediale. Staatliche Kunsthalle Baden-Baden. Foto © Eunice Maurice / Argo Factory, Fondazione Pejman, Teheran. Foto © Atoosa Alebooye

“Garden of Eden Moving; A Petrified Tribe”, 2018/2019. Installazione multimediale. Biennale di Luleå 2018, Svezia. Foto © Biennale di Luleå 2018 / Galleria Dastan Basement, Teheran. Foto © Matin Jameie

Stampato in Italia da Grafiche Veneziane, Venezia

Prima edizione: 2024

Ringraziamenti

Neda Saeedi desidera ringraziare Ana Teixeira Pinto, Andres Villarreal, Antonella Notari Vischer, Azin Feizabadi, Bernard Vischer, Carina Bukuts, Nina Tabassomi, Sina Ahmadi e Yasmin Afschar.

Ringraziamenti speciali sono dovuti a:

The Shadow Foundation, Rolle (CH)

TAXISPALAIS Kunsthalle Tirol, Innsbruck (A)

Pubblicato e distribuito da

Mousse Publishing

Contrappunto s.r.l.

Via Pier Candido Decembrio 28,

20137, Milano – Italia

Disponibile presso:

– Mousse Publishing, Milano, moussemagazine.it

– DAP | Distributed Art Publishers, New York, artbook.com

– Les presses du réel, Digione, lespressesdureel.com

– Antenne Books, Londra, antennebooks.com

– Idea books, Amsterdam, ideabooks.nl

– Motto, Berlino, mottodistribution.com

– LibroCo, Firenze, libroco.it

ISBN 978-88-6749-598-6

€ 27 / $ 30

© 2024 Podere Trafonti, Mousse Publishing, l’artista e gli autori dei testi

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